Disturbo Bipolare

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Nell’ambito del disturbo bipolare distinguiamo il

Tipo I

caratterizzato, nel tempo, dall’alternarsi di episodi depressivi ed episodi maniacali oppure misti ed il Tipo II, in cui gli episodi depressivi si alternano ad episodi espansivi a tonalità attenuata (ipomaniacali) oppure si associano ad un’instabilità dell’umore di grado variabile, causata da alterazioni temperamentali che si manifestano sotto forma d’ipomania breve (durata da poche ore a 2-3 giorni), di ciclotimia o d’ipertimia.

Le forme bipolari Tipo II

Nonostante le forme bipolari Tipo II rappresentino il fenotipo più comune nell’ambito dei disturbi dell’umore esse, tuttavia, sono state studiate scarsamente, spesso non sono diagnosticate correttamente e solitamente sono anche mal gestite sul piano terapeutico.

Una gran parte della mancata diagnosi di disturbo bipolare Tipo II è riconducibile alle difficoltà di riconoscimento delle fasi espansive attenuate, ipomaniacali.

L’identificazione dell’ipomania rappresenta un punto cruciale nella definizione del disturbo bipolare Tipo II, ma sfortunatamente questa è una condizione difficile da diagnosticare e ancor più lo diventa se si utilizzano i criteri proposti dai manuali diagnostici internazionali la cui rigida applicazione fa sì che restino escluse dalla diagnosi le forme più comuni d’ipomania.

Poiché nell’ipomania non si riscontrano manifestazioni psicotiche e grave agitazione psicomotoria, il disturbo si manifesta prevalentemente con modificazioni comportamentali, potendosi così porre problemi di diagnosi differenziale con i disturbi di personalità (in particolare con il “borderline”).

Nell’ipomania infatti, ad aspetti positivi quali l’aumento della disponibilità d’energia, la creatività e l’estroversione (“aspetto solare” o “sunny side” dell’ipomania), se ne possono affiancare degli altri, negativi, come l’impulsività, l’aggressività, l’instabilità geografica, lavorativa, sentimentale, la tendenza alla promiscuità sessuale e all’uso di sostanze stupefacenti (“lato oscuro” o “dark side” dell’ipomania); queste ultime manifestazioni possono erroneamente orientare verso una diagnosi di disturbo di personalità, con notevoli conseguenze sul piano sia dell’approccio terapeutico che prognostiche.

Un’altra importante questione è quella attinente all’ipomania che si manifesta a seguito di trattamenti con antidepressivi e stimolati in genere.

Gli studi prospettici hanno riportato concordemente che la maggior parte degli adulti con episodi ipomaniacali indotti da farmaci, nel prosieguo degli anni, tendono a sviluppare episodi ipomaniacali o maniacali spontanei; l’ipomania causata da farmaci sembra dunque rappresentare una variante del “pattern” bipolare II (che alcuni autori hanno indicato con il termine di bipolare Tipo III).

La diagnosi d’ipomania e la depressione bipolare

La pratica psichiatrica corrente sembra essere guidata da una concezione “depressocentrica” dei disturbi dell’umore infatti, negli ultimi 50 anni, l’interesse dei ricercatori, dei clinici e del pubblico si è centrato principalmente sulla diagnosi e sulla cura delle forme depressive mentre minore attenzione è stata dedicata all’individuazione ed al trattamento delle fasi espansive della malattia maniaco-depressiva.

Questa situazione potrebbe dipendere, almeno in parte, dalla grande disponibilità di farmaci antidepressivi efficaci, sicuri e maneggevoli, ma anche da fattori di ordine culturale che contribuiscono all’ipervalutazione della sintomatologia depressiva ed alla sottovalutazione di quella espansiva: ottimismo, dinamismo, iperattività, aumento dell’autostima, grandi energie lavorative ed estroversione sono considerate caratteristiche positive e “sane” mentre pessimismo, insicurezza, lentezza, scarsa fiducia nei propri mezzi, indecisione ed introversione sono giudicate negativamente ed identificate più facilmente come “patologiche”.

In considerazione del fatto che l’ipomania, per le sue stesse caratteristiche cliniche improntate a sensazioni di benessere, creatività, energia, ottimismo etc. conduce a richiedere un trattamento solo eccezionalmente, ne consegue che i pazienti con disturbo bipolare tipo II si rivolgono allo specialista psichiatra per altri problemi quali disturbi d’ansia (attacchi di panico), bulimia nervosa, abuso di alcol e sostanze o disturbi del controllo degli impulsi (gioco d’azzardo patologico) e, ultimi, ma non ultimi, per la comparsa di episodi depressivi (da diagnosticare correttamente come quadri di depressione bipolare in quanto s’inquadrano in una storia clinica caratterizzata anche dalla presenza di oscillazioni dell’umore opposte rispetto alla depressione).

L’individuazione degli episodi ipomaniacali dovrà essere quindi centrata su una ricerca retrospettiva molto attenta che dovrà tener conto del fatto che il paziente spesso non ha alcuna consapevolezza che quelli erano episodi di malattia: raramente, infatti, egli riconduce al disturbo dell’umore comportamenti e manifestazioni eccitative che interpreta piuttosto come segni di benessere.

Per un corretto inquadramento diagnostico saranno dunque necessari, oltre che l’abilità del clinico, l’apporto fornito dai familiari del paziente e da eventuali osservatori esterni che potranno fornire indicazioni (“indirette”) di grande utilità per formulare la diagnosi.

E’ evidente che una diagnosi corretta di disturbo bipolare (e di depressione bipolare) sarà cruciale per le implicazioni terapeutiche che ne scaturiranno; si dovrà infatti dare la preferenza alle terapie stabilizzanti l’umore mentre, per quanto riguarda gli antidepressivi, dovranno essere impiegati con estrema cautela per il rischio, insito nel loro uso, di viraggi espansivi (maniacali) e di accelerazione dei cicli con conseguente peggioramento del decorso della malattia maniaco-depressiva stessa.

Cenni sulle modalità di trattamento

Il trattamento psicofarmacologico dei disturbi dell’umore è alquanto complesso. In linea generale, gli strumenti che abbiamo a disposizione comprendono:

  • gli antidepressivi (dai più vecchi triciclici ed inibitori delle monoaminossidasi ai più recenti inibitori del reuptake della serotonina [SSRIs] o inibitori del reuptake della serotonina e della noradrenalina [SNRIs])
  • i neurolettici tipici e gli antipsicotici di nuova generazione (impiegati per il controllo delle fasi eccitative e/o per intervenire sulla sintomatologia psicotica eventualmente presente (deliri, allucinazioni)
  • gli stabilizzanti dell’umore, che rappresentano la terapia d’elezione del trattamento sia “in acuto” che “profilattico” della malattia maniaco-depressiva (disturbo bipolare); fra i principali ricordiamo i sali di litio ed alcuni antiepilettici quali carbamazepina, oxcarbazepina, valproato, gabapentina, lamotrigina etc.

Al di fuori delle fasi più acute di malattia potranno essere consigliabili interventi psicoterapeutici ad impronta cognitivo-comportamentali oppure psicoterapie interpersonali brevi. Più recentemente sono stati elaborati modelli di psicoeducazione specifici sia per i pazienti con disturbo bipolare che per i loro familiari.

Essi consistono di una serie di moduli (proposti nel corso di incontri settimanali) mediante i quali vengono spiegate le caratteristiche peculiari del disturbo bipolare quali le manifestazioni cliniche più comuni, le implicazioni che le diverse fasi di malattia (depressive, maniacali ed ipomanicali) possono avere sulla vita del soggetto e dei suoi familiari, quali sono i sintomi “d’allarme” che devono far pensare ad un possibile viraggio espansivo etc.

Questo tipo di procedura può essere un buon strumento da mettere nella disponibilità del paziente e dei suoi familiari; quest’ultimi potranno imparare a riconoscere con maggiore facilità i sintomi iniziali di un episodio depressivo ma, in particolare, quelli di una fase espansiva, essendo questi maggiormente subdoli ed insidiosi in ragione del fatto che si accompagnano a sensazioni di “pieno benessere” da parte del paziente, non avendo esso consapevolezza alcuna della sua fase espansiva.